Quante storie nascoste si celano dietro i luoghi che conosciamo oggi come periferie? E se quartieri come Scampia avessero radici più antiche e nobili di quanto si possa immaginare? “È molto, molto importante ricostruire la storia dei territori, soprattutto quando si parla di periferie come Scampia, in via diacronica, quindi dall’età antica ad oggi. È importante cercare di recuperare i vari piccoli tasselli per provare a ricomporre un puzzle per cercare di ridare quella dignità che talvolta non hanno più”. Ne è convinta Mara Amodio, classe 1972, archeologa, attualmente ricercatrice presso l’Università degli studi “L’Orientale” di Napoli e già docente presso l’I.T.I. Galileo Ferraris di Scampia. Ne è convinta anche la redazione del “MOSS – Ecomuseo Diffuso” ed è proprio per questo che ha deciso di andare ad indagare sulle origini di Scampia.
L’esigenza di cercare le nostre origini e scavare nel passato del quartiere nasce dall’osservazione di ciò che Scampia è diventata oggi. Solo conoscendo il passato si può comprendere appieno il presente, ed è per questo che abbiamo deciso di iniziare dalle origini. Il nostro obiettivo è continuare questo percorso per esplorare e raccontare le diverse epoche del quartiere: dalle sue radici greco-romane, alla Scampia medievale, fino al 1962, anno segnato da una legge, la 167, che ha lasciato un’impronta significativa sul territorio. E poi, le Vele: il loro progetto, la costruzione, i crolli e l’abbandono, ultimo capitolo di una lunga serie di cambiamenti epocali che è necessario comprendere per immaginare un futuro migliore.
Abbiamo avviato questa indagine sociale consultando l’Archivio Storico di Napoli, visitando la Villa Romana di via Tancredi Galimberti intervistando esperti come la professoressa Amodio, e raccogliendo testimonianze preziose da figure come Mirella La Magna e Aldo Bifulco, custodi di storie tramandate e testimoni diretti delle trasformazioni del quartiere. Questo lavoro è importante perché ci permette di dare voce a un territorio spesso frainteso o dimenticato. Scampia non è solo il presente di cui si parla frequentemente in modo negativo, ma è anche il risultato di secoli di storia, trasformazioni e stratificazioni culturali. Abbiamo deciso di intraprendere questo percorso perché crediamo fermamente che conoscere il passato renda una comunità più consapevole e preparata a costruire il futuro che desidera. Raccontare Scampia significa ridare dignità a un quartiere, mostrando che dietro le sue difficoltà si cela un’identità forte e complessa, che merita di essere conosciuta e valorizzata.
Scampia è il quartiere più giovane di Napoli. Lo è sia per la media dell’età della popolazione, sia per le sue costruzioni relativamente recenti. Cercando e studiando, abbiamo scoperto che il quartiere, situato nell’area Nord della città, ha origini più antiche di quanto si possa pensare. Come se il presente fosse stato troppo ingombrante su questo territorio da far dimenticare il passato che riaffiora con prepotenza in alcune strade, come succede, ad esempio, con i resti della Villa Romana. Il cemento, negli anni, ha cercato di soffocarli, di sopprimere quella memoria che però quelle poche pietre rimaste in mezzo all’asfalto, hanno reso indelebili. Siamo partiti da qui quando ci siamo chiesti come fosse Scampia all’epoca di quella Villa. E cosa sono quelle rovine. Abbiamo immaginato come potesse apparire quello stesso luogo all’epoca dei romani.
Per farci meglio una idea abbiamo chiesto alla Professoressa Amodio, che da anni svolge attività di ricerca e studio sul territorio di Scampia e zone limitrofe, di aiutarci a ricomporre i pezzi di quella storia antica che nessuno ricorda più.
Ci sono varie teorie sull’origine del nome “Scampia”: infatti in napoletano, verace, con il termine “Scamp” si indica un campo da coltivazione e sappiamo per certo che il terreno dell’attuale ottava municipalità era molto fertile. Altra teoria interessante vede il quartiere prendere il nome da una Masseria, sita tra i casali di Secondigliano e Melito, chiamata “La Scampia”. Nello specifico Scampia faceva parte del territorio extraurbano rispetto all’antica Neapoli, questo territorio era molto fertile e quindi interessata dalla presenza di ville rustiche dedite all’agricoltura e al pascolo del bestiame. Era interessata dal passaggio delle strade che collegavano Capua ed Atella. “Qui sono stati rinvenuti resti di ville romane come quella in via Tancredi Galiberti – ha detto Amodio, continuando – Così come un’altra, ben conservata, si trova poco lontano, a Cupa Marfella a Marianella”. La Villa di Cupa Marfella a Marianella, scavata dopo il terremoto degli anni ’80, si conserva in modo molto articolato in tutti i loro vani e strutture e ci dà anche un’idea di come si producevano all’epoca prodotti come l’olio e il vino. “Dall’analisi di questi resti, si può capire come la vita sia cambiata dall’età romana all’alto Medioevo”.
Una delle scoperte più importanti fatte sul territorio è proprio una necropoli ellenistica, ovvero resti di tombe di vari materiali, nella zona di fronte al carcere di Secondigliano. Quest’ultima è stata rinvenuta nella seconda metà del 900’, ma solo pochi anni fa in località Case Vecchie, sempre a Scampia, sono stati ritrovati resti frammentari di una villa rurale. “I resti della villa Romana di via Galimberti – ha continuato la ricercatrice – anche se molto esigui, grazie anche alle tante testimonianze delle fonti letterarie, ci dicono che era sicuramente una fattoria. In genere le ville rustiche che appunto erano dedite alla produzione agricola in questa zona, non erano di grandi dimensioni, erano in genere ville monofamiliari legate ad una produzione per l’uso della famiglia e magari per una piccola vendita al mercato locale”.
Scavando all’interno dell’Archivio di Stato di Napoli abbiamo trovato due documenti significativi per la nostra inchiesta. Uno strumento di vendita, datato 12 giugno 1608, relativo al passaggio di un canone su una masseria chiamata “La Scampia” da Cornelia di Sangro a Placido di Sangro, situata tra i casali di Secondigliano e Melito; e una “Pianta della terra Scampia et seminatoria” venduta da Giulio Taglialatela a Giovanni Francesco Altomare nel 1583, localizzata nella zona di Gaudo, Napoli.
Sulla fase medievale del Casale di Piscinola, limitrofo a Scampia, si sa molto poco ed è difficile ricostruire l’aspetto di luoghi in quell’epoca. Secondo quanto ricostruito da Franco Biagio Sica nel volume dal titolo “Viaggio nella mia terra. Memoria storica sul Casale di Piscinola” (Napoli, 1989), possiamo affermare con sicurezza che in questo territorio vi erano almeno due chiese. Una dedicata al martire San Sossio, processato insieme a San Gennaro nel 305 a Pozzuoli, attualmente patrono di Miseno e un’altra chiesa dedicata al Salvatore, vari documenti databili dal X al XIII secolo ci informano che il territorio era detto Terra del Salvatore. Questo nome deriva dal fatto che vi erano presenti delle “grance”, cioè appezzamenti di terreno coltivato, appartenenti ai così detti “monaci del Salvatore” non altro che i monaci benedettini che vivevano in un monastero a Napoli posto “nell’isola del Salvatore” (dove ad oggi è ubicato il Castel dell’Ovo).
Infine dei documenti databili dalla fine del XV al XVIII secolo, attestano che vari monasteri napoletani, come quello di Santa Patrizia, Sant’Agostino Maggiore alla Zecca e San Giovanni a Carbonara, avevano terreni di proprietà tra il Casale di Piscinola e Scampia.
All’epoca degli antichi romani, Scampia era un territorio a vasta vocazione agricola, una caratteristica che è rimasta ancora oggi. Infatti, Scampia è ancora il quartiere più verde di Napoli. Un verde che, però, paradossalmente è spesso abbandonato o negato. Un esempio lampante di questo è la Villa Comunale, chiusa al pubblico da molti mesi senza una spiegazione apparente. Questo paradosso tra la Scampia agricola del passato e la Scampia verde ma trascurata del presente è un segnale di un territorio che, nonostante la sua storia e la sua potenzialità, continua a soffrire di abbandono e disinteresse. È proprio su questo che la nostra redazione vuole indagare, cercando di capire le ragioni di tale stato. Per non restare passivi di fronte a fenomeni che ciclicamente si abbattono sul quartiere, negando ai cittadini il diritto di vivere al meglio il proprio territorio.
di Pasquale Frattini